10 parole Napoletane che derivano dal Francese
DIALETTO NAPOLETANO


Sei mai stato a Napoli? Se sì, allora avrai sicuramente sentito qualche frase come questa:
“Nun è perfetto, ma l'aggio arrangiato accussì pe' fa' primma.”
“Sta cosa nun se po' fa' ampressa, serve pacienza e curaggio.”
Quello che forse non sai è che alcune di queste parole così “napoletane” sono, in realtà, prese in prestito dal francese. Curioso, vero?
Eh sì, il dialetto napoletano non è solo un linguaggio, è un viaggio nella storia. Con i francesi che hanno governato Napoli nei secoli, il loro vocabolario ha lasciato tracce profonde nelle nostre strade, nelle nostre case e persino nei nostri piatti.
Perché proprio il francese, ti chiedi? Beh, Napoli non si è mai limitata a subire le dominazioni: le ha fatte sue, rielaborandole. E così, tra un “ammarrà” e un “vaiassa”, ci siamo ritrovati con un dialetto che è un miscuglio straordinario di influenze.
Oggi esploreremo insieme 10 parole napoletane di origine francese. Preparati a scoprire che, anche se parli napoletano, ogni tanto ti scappa qualche “bonjour” nascosto!
Le parole napoletane di origine francese
Il dialetto napoletano, ricco e musicale, è come una pentola piena di sapori diversi. Tra le tante influenze linguistiche, il francese ha lasciato un’impronta notevole, trasformando le parole originali per adattarle alla vivacità partenopea. Ecco le prime cinque parole che raccontano questa storia:
Ampressa
“Sta cosa nun se po' fa' ampressa, serve pacienza e curaggio.”
(Questa cosa non si può fare in fretta, serve pazienza e coraggio.)
Ampressa è il termine napoletano che significa "in fretta". Deriva direttamente dal francese empressé, che vuol dire "premuroso" o "sollecito". Il bello è che, mentre in francese il termine conserva un senso di cortesia, in napoletano è diventato un modo per indicare la necessità di sbrigarsi. E diciamolo: a Napoli, fare qualcosa "ampressa" è quasi sempre sinonimo di arrangiarsi al meglio, con il tempo che stringe e il genio che fiorisce.
Ammarrà
“Quanno stai a mare, è meglio ammarrà 'e cose cu 'nu telo pe' nun farle scaldà troppo.”
(Quando sei al mare, è meglio coprire le cose con un telo per non farle scaldare troppo.)
Ammarrà significa "occupare" o "coprire", ma le sue radici affondano nel francese ammarrer, che vuol dire "ormeggiare". Che meraviglia, vero? Da una parola legata al mondo marittimo, i napoletani hanno creato un termine versatile, capace di descrivere qualsiasi cosa che venga fissata o coperta. E chi non ha mai “ammarrato” qualcosa al volo, alzi la mano!
Arrangià
“Nun è perfetto, ma l'aggio arrangiato accussì pe' fa' primma.”
(Non è perfetto, ma l'ho sistemato così per fare prima.)
Arranger, in francese, significa “sistemare” o “organizzare”, ma a Napoli arrangià è molto di più. È una filosofia di vita, l’arte di trovare una soluzione anche nelle situazioni più disperate. È quella genialità improvvisata che trasforma il caos in ordine, magari non perfetto, ma funzionale.
Vaiassa
“Quella vaiassa s’è scordata ‘e purtà ‘e cose!”
(Quella serva si è scordata di portare le cose!)
Il termine vaiassa, usato per descrivere una donna volgare o una serva, deriva da baiasse, una parola francese che significava proprio “serva”. A Napoli, però, il termine ha preso una piega più colorita, diventando un insulto affettuoso o dispregiativo, a seconda del contesto. È anche una figura ricorrente nelle commedie e nelle rappresentazioni popolari, dove la vaiassa incarna il carattere irriverente e schietto della città.
Buatta
“Passami ‘a buatta ‘e pommodoro!”
(Passami il barattolo di pomodoro!)
Dal francese boîte, che significa “scatola”, il termine buatta è diventato sinonimo di barattolo, ma anche di persona corpulenta, per via della forma tondeggiante e un po’ goffa del contenitore. È un esempio perfetto di come i napoletani sappiano prendere una parola e aggiungerci un tocco di ironia.
Altre 3 Parole Napoletane che derivano dal Francese
La cucina napoletana è famosa in tutto il mondo, eppure anche tra una pizza e una sfogliatella si nascondono parole che profumano di baguette e burro francese. Vediamo tre termini che raccontano questa curiosa connessione:
Buffè
“‘O buffè è già pronto, mancano sulo ‘e bicchieri.”
(Il buffet è già pronto, mancano solo i bicchieri.)
Il termine buffè deriva dal francese buffet e, nel dialetto napoletano, può indicare sia un mobile che una tavola imbandita per le feste. Ma a Napoli, il buffè non è solo un oggetto: è un’arte. Ogni matrimonio, comunione o festa popolare che si rispetti ha un buffè degno di questo nome, carico di prelibatezze che sembrano urlare: “Mangia, che domani digiuniamo!”
Crocchè
“Addò sta ‘o cuoppo? Tengo ‘nu crocchè che pare ‘na bellezza!”
(Dov’è il cartoccio? Ho un crocchè che sembra una meraviglia!)
Ecco un capolavoro dello street food napoletano: il crocchè. Questo delizioso cilindro di patate, ripieno di formaggio e, a volte, prosciutto, deriva dal francese croquette, che significa “croccante”.
Cuccagna
"A Natale, quanno se magna tutt'assieme, pare ca stamm' dint' 'a cuccagna."
(A Natale, quando si mangia tutti insieme, sembra di stare nella cuccagna.)
Dal termine medievale francese cocagne, che indicava una terra immaginaria di abbondanza, cuccagna è diventata sinonimo di felicità e opulenza. A Napoli, il termine ha trovato un significato ancora più profondo, legato alla cultura delle feste popolari. Chi non ha mai assistito alla cuccagna, con l’albero della cuccagna e i premi appesi in cima? È la metafora perfetta della vita: bisogna arrampicarsi, sudare, ma la ricompensa vale sempre la fatica.
Infine 2 francesismi che usiamo senza pensarci
Non tutto ciò che diciamo in napoletano profuma di tradizione locale. Ecco gli ultimi due esempi:
Cappotta
"A nonna tene ancora 'a vecchia cappotta ca purtava quanno era giovane."
(La nonna ha ancora il vecchio cappello che indossava quando era giovane.)
La cappotta, oggi sinonimo di cappello o cappotto, deriva dal francese capote, che significa “cappa” o “mantella”. Se ci pensi, è una parola che porta con sé l’immagine di un’epoca in cui ci si copriva con eleganza, sfidando il vento e il freddo. E a Napoli, dove la moda è un’arte, ‘a cappotta non è solo utile: è anche un dettaglio di stile.
Commò
“‘O commò è pieno ‘e rrobbe ca nun serv'!”
(Il cassettone è pieno di cose inutili!)
Derivato dal francese commode, che significa “comodo”, ‘o commò è il cassettone che trovi in ogni casa napoletana. È quel mobile in cui si mettono le cose che "forse un giorno serviranno" ma che alla fine restano lì per anni. Insomma, un commò non è solo un oggetto: è un microcosmo di memorie, biglietti scaduti e bottoni spaiati.
E con questi ultimi esempi, abbiamo completato il nostro primo viaggio tra le parole napoletane di origine francese. Non ti viene voglia di scoprire quante altre lingue si nascondono nel nostro meraviglioso dialetto?
Il dialetto napoletano: un viaggio tra storia e cultura
E allora, chi l’avrebbe mai detto che parlando napoletano ogni tanto ci scappa un po’ di francese? Da ampressa a commò, queste dieci parole non sono solo esempi di come le dominazioni straniere abbiano lasciato il segno nella lingua, ma raccontano anche la capacità unica di Napoli di prendere qualcosa di “forestiero” e farlo proprio.
Ma in fondo, non è forse questo il bello del dialetto napoletano? È come la cucina della nonna: un po’ di questo, un pizzico di quello, e alla fine nasce qualcosa di inimitabile. Ecco perché ogni parola che diciamo è una storia, un piccolo pezzo di cultura che ci portiamo dietro senza nemmeno accorgercene.
E tu? Conoscevi già l’origine di queste parole? O magari ne conosci altre che derivano dal francese, dall’inglese o chissà quale altra lingua? Scrivimi, perché, si sa, a Napoli “ogni lasciata è persa”.